Il porto antico di Hatria alla foce del Vomano

L’area che si estende alla foce del Vomano,   sul lato  di Scerne di Pineto,  conserva probabilmente  nel suo sottosuolo  una delle testimonianze archeologiche più importanti della antica città di Hatria, le vestigia dell’antico porto   .  L’esatta  individuazione del porto romano  ha affascinato storici antichi e moderni ,  alcuni di essi  orientati a collocarlo    alla foce del torrente  Cerrano,  sulla base di alcune considerazioni filologiche ed etimologiche sul toponimo Cerrano  nonchè sulla base dei ritrovamenti  di reperti  nella zona  antistante la Torre di Cerrano nel 1982 ;  altri invece propensi a  collocarlo alla foce del fiume Vomano .  Strabone d’Amasea, geografo di età augustea ,  nella sezione dell’opera Geografia  dedicata al ” Piceno e la parte interna della penisola  ”  parla del “torrente Matrino che scorre dalla città degli Atriani , con un imbarcadero ( porto ) sull’Adriatico che ha preso il nome ( eponimo ) proprio da esso ( Matrino )  “. Strabone ci parla quindi  di un porto alle foci di un fiume chiamato Matrinus, che scorreva direttamente da Hatria .  Il Sorricchio, con una diversa traduzione letterale del testo , identifica il Matrinus o con il fiume Vomano o addirittura con il Piomba, mentre il Prof. Zanni Ulisse  lo   individua nel  torrente Cerrano elaborando una  tesi suggestiva e pretenziosa  .  Sosteneva  l’ipotesi etimologica di Ceres come teonimo del Cerrano , i due nomi Cerrano e Matrino in fondo  non sono lontani, poichè Ceres era la  Grande Madre, Demeter, Dea Mater, perciò  Matrinus . Una dea titolare di cereali , grano , frumento , vasi , porti , fiumi  adibiti al trasporto di ogni tipo di raccolto e di produzione della terra. Il Brizio parla addirittura  della scoperta di un tempio romano , il tempio della Dea Ceres eretto alla sorgente del torrente presso  le fonti  antiche atriane : Cereris Fanum ( tempio ) .  Trattasi di ipotesi suggestiva ma forzata secondo la maggior parte degli storici moderni . La tesi del Sorricchio,invece, che vuole a tutti i costi il porto di Hatria nel castellum ( Torrione ) di Scerne, si fonderebbe solo su resti  di “anfore  ” di  figulina  coll’impressione nei manici della grezza parola ANTAYIOK e  di alcuni mattoni recanti la legenda HAT in bollo rettangolare.

 

Spiegata l’origine del toponimo Cerrano , adottato il geografo augusteo Strabone,  accantonata l’ipotesi della presenza di più porti  per una città di dimensioni contenute, resta quindi da chiarire  l’origine della vexata quaestio  tra gli storici  sulla ubicazione del porto di Atri. Il rebus comincia   quando venne pubblicato l’undicesimo foglio , ora conservato  nella Biblioteca di Vienna, della  Tabula Peutingeriana , carta geografica del  III   secolo . La Tabula colloca il Macrinus sul mare di Atri, riportata erronemanete come Macrinus forse per un refuso del copista o per giustificare i periodi di magra del torrente. Alcuni lo identificano con il Vomano ( Silio  Italico, Delfico, Palma, Sorricchio, Barberini ); altri con il Piomba (  Romanelli , Speranza, Weiss, Nissen ) ; altri infine con il Saline ( Mammsen , De Ruggiero, Barnabei , Alfieri ) .  La diversa entità dei  reperti ritrovati nei due diversi siti , alla foce del Vomano e davanti la Torre di Cerrano, potrebbe far propendere per la definitiva accettazione della testimonianza storica delle fonti letterarie  dello  Strabone, ad oggi avvalorate dai rinvenimenti archeologici  realizzati a Cerrano .  Qualcuno,però,  ha continuato ad esternare scettiscismo circa la datazione di tali ritrovamenti all’epoca romana, ricollocandoli semplicemente al XIV secolo , quando appaiono i primi documenti  ed  esplicite menzioni sulla presenza di un porto ubicato in Penna Cerrani . Le fonti medioevali e le menzioni del Chronicon Farfense  parlano di un antico approdo  alla foce del   Vomano che il Palma identifica con quello di Hatria, sito sulla sponda destra “in Vomano Vecchio in contrada delle Scerne “, cioè di  suolo oggi  rincalzato  da alluvioni .  Il toponimo Vomano Vecchio compare in una carta geografica del 1858, nella pianura adiacente verso sud si legge “Le antiche scerne ” .

 

A prescindere dall’ubicazione il porto Matrinus  era il polo marittimo delle due strade romane Salaria Cecilia e Valeria Claudia  per l’Adriatico .  L’attività marinara della città è ampiamente documentata  anche da fonti indirette, quale l’esportazione di  prodotti locali ed i simboli marini presenti nella monetazione della zecca locale, come la conchiglia, l’ancora , la raggia, il delfino . Il porto ebbe in età romana grande importanza per l’economia locale, ma decadde alla fine dell’impero e solo nel Medio Evo i Papi Innocenzo IV e Alessandro IV fecero ricostruire  un porto per Hatria divenuta sede vescovile nel 1251.  Lo studio della viablità antica riproduce,tralaltro ,   un diverticolo antico   per Atri  segnalato nella Tabula Peutingeriana, con una deviazione del tracciato litoraneso subito a sud del Vomano in corrispondenza del porto antico esistente  alla foce del fiume , riferibile alla città di Hatria come sembrerebe desumersi dalla sua persistenza di  uso sino all’alto medioevo  sotto dominio cassinese ( cella S.Mariae ad Maurinum cum portu ed foce de Gomano )  .

 

L’esatto  riconoscimento del sito dell’antico approdo   appare anzitutto ubicabile  non in corrispondenza della riva meridionale dell’attuale alveo ma di quella  di un ramo  antico del corso d’acqua ubicato circa 600 metri a sud della foce attuale ed 800 circa da quella antica .

Proprio in corrispondenza del versante  meridionale di questo ramo oggi sepolto del fiume  avveniva  nel 1753-1754 , a  seguito di scavi condotti da Nicola Sorricchio, un importante rinvenimento che appare oggi difficile non attribuire a qualche struttura connessa all’antico approdo : si trattava di un ” quadrilatero di doppie mura ad opera signina, che si  internava in un montante di terreno compatto malagevole a rimuoversi per cui lo scavo fu arrestato  ” . Le dimensioni  riportate dal Sorricchio sono puntuali e circostanziate   e nel confronto  tra l’indicazione  che in quel punto     intorno al rudere cominciava a salire verso Atri >>  e  l’ubicazione di tale tracciato proprio in località Le Scerne  nell’ Atlante del Ricci-Zannoni del 1808 , appare evidente che i resti d’età imperiale   sono con ogni evidenza collocati proprio nell’area in cui appare ubicabile il porto romano ed altomedioevale della città . Il monastero di S.Maria ad Maurinum  era ubicato a poca distanza nella località  Colle Morino  di Pineto su una collina a monte dell’approdo , ove sono stati rinvenuti in passato resti archeologici riferibili ad un abitato romano  con fasi di occupazione sino all’altomedioevo, in posizione strategica a controllo della sottostante foce del fiume Vomano, del porto e della via antica litoranea.

 

L’ultimo resto dell’approdo  antico di Hatria, controllato a partire dal IX secolo da parte dei monaci cassinesi, dovette andare in progressivo abbandono fra XI e XII secolo con l’ormai inarrestabile insabbiamento di parte della foce del fiume Vomano , tanto che non  appare più menzionato accanto al monastero nel 1252 al momento della nascita della diocesi di Atri .  Di li  a poco il porto  venne ricostruito  nell’area antistante la Torre di Cerrano dove tuttora sono conservate le vecchie mura.  La foce del fiume Vomano si conferma , pertanto, sempre più ricca di sedimentazione storica  e l”ipotesi che vi possano essere custodite  le vestigia dell’antico approdo atriano la rende ancor più  interessante  confermandoci   come ,allora come oggi,  la migliore dislocazione delle infrastrutture ( porti, viabilità , ospedali )   fosse  altamente funzionale per la migliore vivibilità  di tutta la zona.

 

I trabocchi di Pineto: un’idea per tutti!

 Vi sono  alcune strutture  o costruzioni  appartenenti a luoghi  lontani   e  vicini , disegnati o   fotografate, figlie anche di romanzi di formazione   quali i castelli ,  le torri  ed i  fari che hanno da sempre suscitato  un  proprio fascino , contenitori di storia  e  di attese, di  partenze e di arrivi , di lavoro e di osservazione. Sulla costa abruzzese  imperano  i totem  di  un vecchio metodo di  pescare conosciuti  con il  termine trabocco , etimologicamente variegato ,   una struttura di legno di Aleppo  che ha garantito  il pescato per generazioni agli   abitanti della costa . Ora , questo attrezzo che si erge  e si sviluppa a forma di ragnatela , ha acquistato una valenza paesaggistica,  naturalistica e di promozione della costa  abruzzese   .  Chi non ha avuto ancora modo    di assaggiare i momenti  deliziosi di una cena su un trabocco si perde qualcosa di particolarmente intimo,  di singolare perchè  alle diverse portate si alternano  momenti di osservazione  della quiete del mare e del saluto del sole,  a momenti di riflessione sulla  valenza marinaresca della struttura , immaginando le non secondarie fatiche di un tempo  richieste per la raccolta del pescato .   Sono stato sempre affascinato dal faro  come simbolo ed indentità di una costa,  ma il trabocco suscita ancora più emozione   in quanto,  soltanto a guardarlo  si ha  la sensazione che stia lì immobile a raccontare  la  storia di intere famiglie, dei loro sforzi  , delle loro speranze     e della loro ripetitiva quotidianità .

 Ordunque  la costa pinetese  la   possiamo suddividere in tre zone, quella  tradizionalmente sabbiosa, quella a maggiore tutela con la presenza di dune  nell’area marina protetta e quella ghiaiosa  che dal fiume Vomano si estende fino alla zona nord di Pineto.  Questa ghiaia ritenuta da sempre  fastidiosa   negli ultimi anni, in assenza di alcuna possibilità di poterla rimuovere, è stata rivalutata  in quanto  sono stati concepiti  nel frattempo diversi modi di vivere la spiaggia, meno comodi e rilassanti , ma comunque vitali . In questo tratto  piccoli frammenti di spiaggia sono stati adattati ad alaggi per  imbarcazioni a vela ,   sono spuntate  zone d’erba  destinate  a cucire la spiaggia con la  pista ciclabile, stile lungomare di Scerne; diversi  sono  gli amanti della pesca con lenza   con il proprio  raggio d’azione esistenziale ;  da ultimo alcuni frangiflutti ed i pennelli  proiettati al largo iniziano a conferire a questa spiaggia un’aspetto particolare ed esclusivo, non roccioso  ma  figlia di tante pietre . Proviamo ad immaginare   due  o tre trabocchi  dislocati in questo tratto di spiaggia;  proporrei   chiamarli istituzionali o comunali con libero accesso e fruibilità da parte di tutti ( naturalmente previa regolamentazione )  i cittadini .  Sarebbe una ulteriore chicca   e punto di attrazione del ns. territorio da aggiungere alla ricostruzione della Torre del Vomano al termine della pista ciclabile. Qualcuno  eccepirà sicuramente che la ns .zona è priva di tradizione marinaresca se non   nella declinazione  della piccola pesca e  di quella sportiva ;  che  il contesto della costa dei trabocchi è ben diverso  con i fondali limpidi  grazie alla presenza uniforme della roccia; che storicamente  e per tradizione il trabocco non ci appartiene.   Nonostante tutto  proviamo ad immaginarne la presenza e l’utilizzo non  funzionale all’attività di pesca ma soltanto per fini  attrattivi   non escludendo la  possibilità di potervi  realizzare una piccola  ristorazione. Non avremmo il copyright ma  a volte bisogna avere il coraggio di mutuare le cose belle e positive da altri territori  conferendogli la giusta valenza  ed adattibilità . Anche la ghiaia  non ci sarà più ostica  magari se in compagnia di qualche frangliflutto o di masso roccioso  in  più !!!

La pioggia nel pineto

E’ opinione ormai diffusa  e tramandata dalla letteratura locale che Luigi  Corrado Filiani  fosse stato influenzato nella scelta del nome di Pineto dalla  poesia “La pioggia nel pineto ” di  G.D’Annunzio, rivolta alla donna amata Ermione. La scena si svolge in una pineta  della Versilia, durante un soggiorno estivo , mentre varcata la soglia del bosco si scatena un  temporale. Il tema dominante della poesia potrebbe sembrare la pioggia, la diversa musicalità che suscita  cadendo  sulla variegata   vegetazione,   descritta grazie all’abilità letteraria del poeta e dall’armonia delle parole che riesce a riprodurre tali sensazioni . In realtà il motivo  dominante  in questa poesia  è il panismo del poeta che emerge nella sua  essenza nella seconda parte della stessa, la percezione di sentirsi interamente fuso con la natura e di ritornare alle sorgenti primordiali della vita.  Il sentimento panico della  natura è una percezione molto profonda del mondo esterno , soprattutto se riferita a paesaggi naturali , che cerca una fusione tra l’elemento naturale e quello specificamente umano    ( ” …il cuore nel petto è come  una pesca non ancora toccata … ) .

Luigi Corrado Filiani cambia  il nome di  Villa Filiani in Pineto nel 1925; era  tornato dalla sua esperienza romana , dopo la morte del  padre nel 1909 , caratterizzata dalle intense frequentazioni della vita borghese  in un periodo  in cui  prevalente era la corrente del decadentismo letterario, magistralmente interpretato da Gabriele D’ Annunzio . La poesia “La pioggia nel pineto ” era stata scritta nel 1902. L’idea di realizzare una città verde sul mare l’accompagna al suo ritorno  nella  terra natia, sognando una ridente cittadina avvolta da un sistema di verdi pinete. Possiamo pertanto dedurre che sia  stato il  panismo  ben rappresentato nella poesia ad ispirarlo nella scelta del nome della nostra cittadina e non la semplice presenza del sostantivo pineto  nel titolo della stessa .

Altri profili dannunziani presenti nella nostra cittadina vanno ricercati nella intestazioe della strada principale a Gabriele D’ Annunzio  così come  la prosecutio della stessa in Villa Ardente  con il nome di Cesare De Titta ( 1862-1933 ) , poeta abruzzese amico del  D’Annunzio .

Ogni volta  che si abbatte  un temporale  la nostra cittadina viene nuovamente battezzata sotto il profilo letterario    e  ci ricorda le probabili origini del nostra identità pinetese.

Ri-vivere Parco Filiani

Il claim “Vivere Parco Filiani “ era stato utilizzato dall’Associazione  Arcobaleno-Città Ideale  in occasione del concorso  di idee organizzato  nel 2006  per promuovere e catturare le attenzioni  della filiera di amministratori, dai   locali sino a quelli  provinciali e  regionali. E’  stato utilizzato anche come titolo di una monografia nella quale vengono declinati la storia del parco, le  prime iniziative di recupero e di valorizzazione  sotto il profilo didattico,  le idee progettuali del concorso di idee e gli interventi necessari per il recupero idrogeologico. Sembrava che il claim “Vivere Parco Filiani” avesse portato fortuna con  il finanziamneto  di euro 675mila stanziato dalla Regione, con i lavori affidati in concessione alla Provincia;  grande  l’impegno profuso dall’Amministrazione Comunale nel seguire i lavori fino ad arrivare all’inaugurazione  nel mese di Novembre 2010.  Sembrava anche che  un gioiello di ingegneria naturalistica ,che ha pochi eguali a  livello nazionale quantomeno  di queste dimensioni, fosse restituito ai cittadini in sicurezza  e con la possibilità di svolgervi  centinaia di attività culturali, sociali e  manifestazioni di variegato interesse ; oppure semplicemente  viverlo passeggiandovi (“Elogio della passeggiata ” – appendice della  monografia).

L’illusione è durata pochi mesi fino a quando il  ripetersi  di atti vandalici da parte di un gruppo di  “qualunquisti ” (evitiamo  di avventurarci  nella ricerca di epiteti più appropriati)  ha scalfito il gioiello pinetese  con la rottura dei punti  luce,  la manomissione del sistema antincendio  e  pensato  di divellere la struttura  di legno  ideata per l’accoglienza.  A distanza di due anni  da questi  atti deplorevoli  l’Amministrazione Comunale  ci  riprova  a restituire la giusta centralità a quest’area di assoluta pregiatezza con l’emissione di un Bando esplorativo finalizzato a sondare  e catturare  l’attenzione  di Enti, associazioni e privati  interessati alla gestione di Parco Filiani.  L’area pregiata  resterà fruibile comunque da tutti i cittadini, chi andrà a gestirla lo farà sulla base di una idea progettuale che rispetti i  criteri della sostenibilità, della innovatività ed integrazione  garantendo la manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio arboreo, la sorveglianza e la tutela e protezione della flora e della fauna. In attesa del risultato del bando cresce, però, semprè più l’esigenza di chiedere a tutti i cittadini pinetesi la massima collaborazione  interpretando ognuno il ruolo di custode  o guardiano del  Parco, frequentandolo  e segnalando le presenze equivoche , promuovendo iniziative e  la cultura ambientalista ma anche il senso di appartenenza e della proprietà pubblica:  il parco, come la pineta, ci appartiene ed ognuno di noi deve contribuire alla salvaguardia ed alla tutel !

Sarebbe bello immaginare la prossima “Passeggiata di Primavera “, giunta quest’anno  alla 28^ edizione con una partecipazione record , veicolata  nei sentieri che si snodano  all’interno di Parco Filiani  fino a salire  sul crinale della collina dove svetta la “Pinetuccia” con sentieri di collegamento ; sarebbe bello che la lodevole dedizione delle guide dell’Area Marina Protetta, ALberto e  Mario, continuasse nella attività  didattica  e di promozione  del  territorio pinetese con  escursioni    tracciate che interessano anche Parco Filiani; sarebbe bello immaginare che l’attività didattica  e sportiva  degli alunni  delle medie  che abitano  di fronte possano  svolgersi all’aperto in stile campus americano … !!

Il ruolo dell’ Amministrazione Comunale continuerà ad essere centrale  portando a termine le proposte declinate  da tempo  basate sulla gestione sicurezza e sorveglianza.  Il ripristino dei danni , l’introduzione di un presidio minimo di videoserveglianza e la disciplina  per l’accesso  e la fruibilità del Parco  con apposita cartellonistica  saranno  definiti in tempi stretti . Confidando nel positivo risultato del bando esplorativo  e nella collaborazione di tutti i cittadini ed associazioni ,   proviamo ad utilizzare nuovamente lo stesso claim    modificandolo in  RI-VIVERE Parco Filiani , presagio  di  un nuovo corso   e del superamento dell’esame di maturità di tutti noi  cittadini  pinetesi , senza esclusione alcuna  nemmeno dei “qualunquisti ” .

 

 

 

La pinetuccia

Sul crinale della collina dove si estende Parco Filiani, si erge una doppia fila di pini che disegnano una verde forma lineare a scendere o a salire secondo lo sguardo che l’ accompagna, interrotta a metà dalla strada provinciale che porta a Mutignano. Con molto disincanto viene chiamata “la pinetuccia “ in quanto fu realizzata , come la pineta litoranea ma per una lunghezza più contenuta , da Luigi Corrado Filiani negli anni ’30 e doveva rappresentare il coronamento del parco.
Per chi percorre l’autostrada A 14 è considerata la “cartolina “ di Pineto in quanto ne anticipa l’arrivo a destinazione oppure, per chi è orientato su altri lidi , interrompe la monotonia del viaggio con una gradevole visuale . All’ inizio i Pinus Pinea piantati erano 230 distribuiti su una striscia di terreno a larghezza variabile, allineati da due fino a cinque filari. Trovò la completa realizzazione nel dopoguerra con le tecniche simili a quelle utilizzate per la pineta litoranea. La famosa nevicata del 2005 ha falcidiato gran parte delle piante sottoposte anch’esse ad un rigida potatura . Dalla semplice visione della ” pinetuccia ” si percepisce la necessità di una ripiantumazione di pini già abbattuti, di una mirata potatura , della sostituzione di quelli ormai destinati all’abbattimento nonchè di una costante manutenzione di tutta l’area. ulteriormente penalizzata dai noti eventi meteorologici del 2011 e del 2012.

Il grande progetto di L.C. Filiani era quello di poter raggiungere agevolmente il crinale della collina sovrastante il parco in modo che si potesse fruire del bellissimo panorama, al fresco dell’ombrosa pinetuccia . Il percorso per accedervi era intervallato da alcune oasi di bosco distribuite nell’aperta collina; quasi in adiacenza della pinetuccia. Pensò di costruirvi alcune case coloniche da adibire in futuro a punti di ristorazione. Inoltre, aggirando la collina dove si estende la pinetuccia e superando l’aperta campagna in un tragitto diritto e semipianeggiante , si arriva su Colle di Pigno che svetta con i suoi 249 metri slm . Vi fece realizzare un serbatoio d’acqua , tuttora funzionante, per garantire la fornitura alle case dei contadini della zona. L’intenzione era quella di costruirvi proprio in cima una struttura stile “castelluccio “ da dove poter apprezzare al meglio il favoloso paesaggio circostante ed il suo paese ideale adagiato nel verde delle pinete.
I “ boschetti “ sono tuttora presenti così come i casolari da adibire a punti di ristoro. Scomparso nel 1964 non riuscì a realizzare tale sogno ma il fascino di tale progetto rende ancora più illuminato il suo pensiero. La realizzazione, almeno , di un percorso che da Parco Filiani porti alla “Pinetuccia” non richiede grandi risorse se non l’assenso e la condivisione della proprietà per poter fruire di una fascia di terreno che fiancheggi la S.P per Mutignano fino ad arrivare alla “pinetuccia ” ( all.to percorso ) .

Aree picnic attrezzate ed un osservatorio permetterebbere a tutti i cittadini ed i turisti di Pineto di apprezzare la pregiatezza e la bellezza dello skyline di Pineto.
Questo frammento di paesaggio, nella gradevole visione possibile da tutte le angolazioni , è percepito dai cittadini e dai turisti come appartenente alla pubblica comunità, pur essendo di proprietà privata, e considerato ormai da tutti un riferimento paeaggistico che identifica ancor di più la Città di Pineto, amplificandone il senso di appartenenza.

Di recente ho presentato una mozione in Consiglio Comunale con la quale si invita la Giunta ed il Sindaco a contattare la proprietà privata per delineare tutte le necessarie attività volte a salvaguardare la pinetuccia e di poter avviare un discorso di valorizzazione del sito con un percorso che dal Parco porti su al crinale. La mozione è stata votata all’unanimità . Attendiamo fiduciosi sviluppi positivi che possano preservare questo simbolo di PIneto alle future generazioni . Nel frattempo purtroppo allego alcune foto che ben presentano le ferite e lo stato di abbandono della pinetuccia .