IMMAGINI PINETO CALCIO ANNI ‘ 50 – MOSTRA FOTOGRAFICA

Nella bellissima cornice di Villa Filiani  si è tenuta, nel periodo natalizio,  la mostra di  immagini inedite  sulla nascita dell’attività calcistica di Pineto,  con  foto in bianco e nero che hanno catturato l’attenzione di  tantissimi cittadini .

Ideatore ed organizzatore della  mostra fotografica ” Immagini di una storia  “Gli anni ’50”  il Dott. Silvio Brocco , attuale Presidente del Pineto Calcio,  fedele custode dei  preziosissimi scatti  che hanno immortalato scampoli di gioco espressi nel vecchio campo Druda, la composta e numerosa partecipazione  di spettatori  ai bordi del campo , le  porte  senza reti , le prime sfere di cuoio,  il perimetro di gioco approssimato dalle dune irregolari, le prime ed orgogliose divise  che esprimevano anche  i colori sociali.

Il Presidente Silvio Brocco è  noto per il forte  e romantico legame con la cittadina di Pineto, manifestato  sia  con la fervida  e pluriennale partecipazione  nella gestione del Pineto  Calcio che   con la passione per la musica,  tuttora espressa con il gruppo di vecchi  amici. Con questa  iniziativa ha voluto restituire uno spaccato della nostra cittadina dell’immediato dopoguerra, le prime sfide ed i primi campionati.  La mostra è stata corredata dal contributo storico del maestro Enrico Romanelli, il quale ha raccolto e riportato testimonianze dei nostri pionieri del calcio, ha inanellato  una serie di episodi  e di  aneddoti   scansionati in una precisa sequela di tappe  che hanno sdoganato la nostra cittadina  dal grigiore del dopoguerra, creando le basi  di una  ricca e gloriosa tradizione calcistica della nostra cittadina.

In  Italia imperava  ancora il  modulo  di gioco del “metodo”, mentre il  “sistema” di Chapman veniva  sovrastato  dall’inversione organizzativa  della grande  Ungheria di Puskàs, Kocsis  ed Hidegkuti . Erano  gli anni di  Charles e Sivori, del trio Gre-No-Li,    a Pineto si giocava  nel  campo   Druda faticosamente costruito  da alcuni  studenti pinetesi  i quali , con mezzi rudimentali  ma tanto entusiasmo ,  riuscirono nella difficile impresa di spianare  le dune sabbiose con un pesante rullo di pietra tirato manualmente.

Quel campo  rappresenta il contesto  delle tante foto  in bianco  e nero  il cui  magico scatto ha   immortalato anni di entusiasmo,  il coinvolgimento  dei cittadini  trasformati in cornice umana ai  bordi del campo,   parabole  della sfera di cuoio  ancora con la stringa nella chiusura ;  fedele custode di sfide epiche, alcune immortalate quale il derby con la vicina Silvi  reso memorabile  dallo sbarco di 100 silvaroli  con 7/8  battelli a  vela attrezzati per la pesca delle sarde, ed un paio  di lancette.  Si parla di vendetta  per  un incontro precedente, minacce in campo , rissa finale con coinvolgimento del pubblico    anche femminile,  ripartenza della pittoresca  spedizione per andare a “sardinare”: per la cronaca la partita fu vinta dalla squadra di Silvi per 2-1 , un rigore fu calciato deliberatamente fuori  dal Pineto  sull 1-1   per atteggiamenti oltranzisti degli avversari.

Le  immagini  raccolte in questa mostra vanno al di là  di una mera proposta  documentaristica  del  ” Gioco del Calcio   a Pineto “. I  protagonisti  di queste bellissime foto  hanno posto le basi  della tradizione sportiva  della nostra cittadina, non soltanto calcistica, favorendo  un grande sentimento  di pinetesità     e maturando i valori dello  “stare insieme ” . Alcuni  di quei ragazzi che “rullavano ” il terreno  di gioco per renderlo praticabile,  diventeranno   protagonisti  anche in altri ambiti della  storia  pinetese.    Ad ascoltare  i visitatori della mostra,  tutti  hanno provato emozioni  che a distanza  di tanti  anni  ci fanno gioire  o commuovere vivendo i momenti più autentici che ci regala lo sport.

L’intestazione del campo  a Gabriele Druda ricorda,invece,  una delle pagine più dolorose della storia del calcio pinetese. Il 10 Febbraio 1950 , Gabriele  perse la vita  a seguito di una caduta  sul terreno di gioco,  “in uno dei tanti contrasti  per il possesso di quel pallone che amava tanto” ( Franco Druda). La mostra  ci ha ricordato, oltre ad uno  spaccato di un calcio di altri tempi, “la partecipazione popolare  che fu sempre spontanea e contribuì  a rinsaldare i rapporti di amicizia  in un’epoca difficile , protesa  però verso lo sviluppo degli anni  sessanta e , a ben vedere, è ancora questo lo spirito che ci  ha mosso a prescindere le belle immagini di questa mostra  ” ( Silvio Brocco).

Nel frattempo  il perimetro di gioco  che  è stato lo sfondo  di queste belle immagini, traslato di  un centinaio di metri verso Nord agli inizi degli anni  ottanta, attende silente che le nuove immagini a colori riflettano  sullo sfondo  una  bellissima superficie verde, il colore della  prime maglie del Pineto Calcio.

Mutignano, la chiesa di Santa Maria della Consolazione

consolazione

Il borgo antico di Mutignano si estende sulle colline a ridosso del litorale di Pineto, attorniato dal magico fenomeno calanchivo con un tessuto urbano ed edilizio in prevalenza ottocentesco e moderno. Si sviluppa attorno ad un corso principale con i caratteristici vicoli che si estendono in ramificazioni laterali, sino ad arrivare al Parco Castellaro considerato il primo sito storico del borgo medioevale dove fu costruita, verosimilmente, la prima chiesetta di Mutignano in onore della Santissima Trinità. Il borgo custodisce un patrimonio architettonico ed artistico di riconosciuta valenza con la Chiesa medievale del patrono S.Silvestro Papa considerata l’ emergenza architettonica più importante, ben conservata grazie ai restauri quattrocenteschi e settecenteschi , con una manutenzione ordinaria assicurata fino ai nostri giorni. Analoga attenzione non è stata riservata alla Chiesa di Santa Maria della Consolazione situata, provenendo da Pineto, poco prima dell’ingresso al borgo antico, sul lato sinistro, nella località conosciuta come “Cona“, il cui etimo proviene proprio dalla Chiesa che ancora oggi è chiamata “Chiesa della Cona”, ovvero luogo dove veniva venerata “l’Icona“.

Agli occhi dei cittadini, dei turisti e dei passanti si presenta racchiusa in una recinzione di protezione che appare come un’ estremo tentativo di preservarne la sagoma in attesa di miracolosi interventi, con l’installazione provvisoria di un tetto in lamiera . Già nel 1924 la stessa veniva descritta come “diruta“ dall‘Ispettore di Zona Bertini Calosso, in alcune note inviate alla Regia Sovrintendenza di Roma in occasione di un suo viaggio in Abruzzo, alle quali si aggiunsero diverse sollecitazioni del Sindaco di Mutignano

Sempre nella stessa relazione l’Ispettore descrive lo stato dell’arte : “La parte superiore della parete…. presenta sotto l’intonaco larghe tracce di affreschi del sec. XVI ed anche del sec. XV non privi di interesse: non è perciò fuor di luogo supporre che anche nella parete inferiore, ora interrata per la destinazione a sepoltura, possa esservi eguale decorazione….Una lapide sulla porta dice che la costruzione della chiesa rimonta al 1408; ma la data che è sull’altare attuale permette di fissare al 1749 il parziale riempimento avvenuto“. I diversi appelli lanciati dal Sindaco di Mutignano rimasero inascoltati e lo stato di degrado della Chiesa continuò a peggiorare sia per i danni causati dalla guerra che dai continui smottamenti del terreno. Ne l 1960 la Chiesa fu dichiarata inagibile mentre negli anni ’80 fu chiusa definitivamente; il parroco ne chiese addirittura la demolizione per motivi di sicurezza, in alternativa della vendita all’amministrazione comunale.

La chiusura definitiva della Chiesa ne peggiorò la stabilità strutturale con il crollo del tetto, del cappellone della Madonna (con conseguente perdita dell’affresco) e della sagrestia. I lavori di conservazione avviati dal Ministero delle Belle Arti nel 1998 si riferiscono al puntellamento della facciata e di alcuni muri perimetrali con la sostituzione della copertura originaria con una provvisoria in lamiera metallica che ne hanno impedito il definitivo deterioramento.

Nonostante l’evidente stato di fatiscenza in cui versa ora la Chiesa, si intuisce ancora l’originale organismo a pianta centrale del tipo a croce greca, con uno spazio quadrangolare centrale dal quale si apron , attraverso quattro arcate, altrettanti spazi di analoga ampiezza e di minore profondità successiva. Nel 2006 erano stati stanziati 250.000 euro dalla Sovrintendenza per l’inizio del restauro ma ad oggi non è stato avviato alcun lavoro; per il recupero totale della struttura serviranno, comunque, ben altre somme.

lapide consolazione

Riferimenti storici

La chiesa a croce greca, sotto il profilo architettonico, è tipica dell’arte bizantina con il prototipo della distrutta chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli, ripresa in Italia nel periodo dell’alto medioevo e, successivamente, sostituita dalla croce latina con l’avvento del romanico. Si parla di pianta a croce greca quando la navata ed il transetto hanno la stessa lunghezza e si intersecano a metà della loro lunghezza (la Basilica di San Marco di Venezia è un tipico esempio di chiesa a croce greca di ispirazione bizantina); quando sono di lunghezza diversa si parla di pianta a croce latina. La Chiesa di Santa Maria della Consolazione potrebbe risalire addirittura al ‘200 anche se la prima fonte documentale, rappresentata da un’antichissima lapide con una iscrizione latina, ne ricolloca l’origine al 1408 “Fundatio Ecclesiae Sanctae Mariae Consolationis fuit anno Domini MCDVIII/spectandum pietatis opus mirare viator/condidit hoc populus religionis (sic) amans, “(O viandante, ammira questa prodigiosa opera di pietà voluta da un popolo amante della Religione); tale lapide è ora custodita presso la Chiesa di S.Silvestro ma qualcuno ha sollevato il dubbio circa l’autenticità della stessa.

Un tempo era considerata la “chiesa di campagna“ in quanto era collocata al di fuori delle mura del borgo che finivano dove oggi emerge la Chiesa di S. Ilario. A questa Chiesa, con Bolla Pontificia, fu concesso il privilegio dell’ Indulgenza plenaria ad instar partiunculae , cioè come per la Porziuncola di Assisi, da lucrarsi l’8 Settembre di ogni anno. Sembrerebbe che la Chiesa fosse stata da subito elevata a Santuario e dotata di una Porta Santa, grazie alle pressanti richieste del Ducato di Atri . La Porta Santa veniva aperta l’8 Settembre ed era meta di un pellegrinaggio molto partecipato. I fedeli entravano per la Porta Santa ed andavano nella cappella con l’affresco ritenuto miracoloso raffigurante la Madonna; quindi andavano nella navata principale e, dopo aver recitato varie preghiere , uscivano per il portone principale. Il Duca Andrea Matteo Acquaviva premiò il fervore religioso della comunità di Mutignano con l’artistica Croce astile cesellata e niellata da Nicola Gallucci detto di Guardiagrele (1450) ora conservata nella sagrestia della Chiesa di S.Silvestro insieme al dipinto raffigurante la Madonna con il Bambino, copia della Madonna Bridgewatr di Raffaello, entrambi scampati alla rovina della Chiesa. Il suo abbandono cominciò quando fu concessa un’altra indulgenza plenaria (ma senza porta santa), alla Chiesa di Sant’Ilario, situata all’interno del paese. Nel 1682, infatti, il Duca di Atri Giangirolamo II, su richiesta della popolazione, riuscì ad ottenere il trasferimento delle spoglie di Sant’Ilario da Roma a Mutignano: le sacre reliquie giunsero in paese la sera del 26 Settembre 1683 e nel1694 il Papa concesse l’indulgenza plenaria per la festa del 27 Settembre. Durante la carestia che interessò la comunità di Mutignano dal mese di Maggio del 1816 al mese di Dicembre dell’anno successivo, morirono 366 abitanti; ogni giorno le case e le strade erano ingombre di cadaveri . Fin dai tempi antichissimi si usava seppellire i morti dentro la Chiesa Parrocchiale; da quell’anno e precisamente dal 29 Giugno 1816, essendo stato esaurito tutto lo spazio disponibile, i cadaveri vennero seppelliti nella Chiesa di S.Maria della Consolazione. Successivamente, dal 29 Marzo 1890, vennero inumati nell’apposito cimitero. Il terremoto del 1884, inoltre, aveva minato ancor più la precaria struttura della Chiesa. Durante i secondo conflitto mondiale sembra sia stata usata come magazzino e deposito di veicoli, in particolare di natura militare. Affreschi di pregevole fattura, documentati da due vecchie fotografie, sono riferite ad una “chiesa diruta“ locale, con una inquadratura parziale, a livello delle spalle di due figure: uno splendido volto di Madonna con il Bambino (di cui si intravede nella foto un accenno della testa), la cui eccellente qualità si evidenzia nella formulazione dell’ovale perfetto del volto, dalle raffinate ombreggiature e nella magistrale resa delle trasparenze del sottilissimo velo del capo, nonché il bel sembiante di un San Sebastiano, dalla fluente capigliatura in cui incorre lo stesso pensiero figurativo che troviamo nell’affresco di analogo soggetto della Chiesa di Santa Croce di Urbino.

 san  sebastiano  madonna  della consolazione  madonna  5  Madonna 1
madonna 2 madonna 3  madonna 4

Considerazioni

 Recuperare la Chiesa della Madonna della Consolazione riveste una duplice importanza, sia religiosa che architettonica . Si è fatto un breve riferimento alla particolare ed iniziale struttura a croce greca, alla rara presenza sul territorio nazionale di analoghi edifici a pianta centrale. Ma ancor più importante è la ricerca e la ricostruzione delle fonti vescovili ed archivistici che attestino l’esistenza della Porta Santa. Si auspica un convegno , da tenersi nella splendida cornice dell’ Auditorium di Mutignano ; u n incontro da tenersi con la Curia, la Sovrintendenza e l’Amministrazione Comunale per individuare il percorso migliore per il recupero della Chiesa, l’individuazione delle risorse finanziarie per il recupero e la destinazione di questo “ gioiello “ dal valore incommensurabile , foriero di un turismo di natura religiosa nel momento in cui se ne riconoscerà l’autenticità della presenza di una Porta Santa, che si andrebbe ad aggiungere a quella de L’Aquila e di Atri .

Omaggio a tre illustri personaggi di Pineto: Tito Marucci, Nicola Patelli, Mario Torrieri

Da tempo si era alla ricerca del modo migliore per ricordare tutti i personaggi che hanno dato lustro alla cittadina di Pineto,contribuendo con il proprio operato allo sviluppo della comunità sotto vari profili, scrivendone la storia e modellandone l’identità. Si è realizzato uno stemma recante i nomi di tutti i sindaci di Pineto, esposto presso la Sala Paolo Corneli di Villa Filiani.
Un particolare: la cronologia dei sindaci parte dal dopoguerra, con la nascita della Repubblica, omettendo di fatto un pezzo di storia della giovane Pineto , fino al 1929 frazione di Mutignano.
Questo particolare non secondario era stato più volte contestato dal compianto Gianfranco Marucci, scomparso di recente , il quale rivendicava un riconoscimento anche per il padre, Ing. Tito Marucci , nominato più volte podestà , per l’intenso ed articolato contributo speso per la crescita della cittadina. Egli diceva sempre, con un piglio laconico ma deciso, “che era come voler fare la storia d’Italia partendo da Garibaldi ignorando la storia di Roma“. Si è pensato allora che l’intestazione di una piazza o di una strada fosse il riconoscimento migliore è più visibile per ringraziare coloro che con dedizione e passione hanno contribuito alla crescita della comunità pinetese.
Proprio per rendere omaggio ad alcuni di questi personaggi che “durante la loro esistenza e con il loro operato si sono distinti per la crescita storico culturale della Città di Pineto “ , l’Amministrazione Comunale ha deciso, con D.G. del 17 Maggio 2013, di intestare una piazza a Tito Marucci (l’attuale Piazza Marconi), una strada a Nicola Patelli (l’attuale Via Trieste) ed un’altra a Mario Torrieri (il tratto di strada compreso tra Via Rapisardi e Via XXV Aprile attraverso il sottovia carrabile). La scelta di questi personaggi è stata dettata dalle sollecitazioni e dalle segnalazioni di diversi cittadini.
Di seguito riportiamo una loro breve biografia illustrativa, estratta dal rapporto istruttorio della delibera , evidenziando come i tre personaggi ricoprano periodi diversi della storia di Pineto.

Tito Marucci, ingegnere, uomo di vivace cultura nonché grande ed appassionato educatore partecipò, con i famosi “Ragazzi del ’99 “, alla prima guerra mondiale sui monti del Brenta.
Podestà di Pineto dal 1936 fu opera sua l’annessione di Calvano e Scerne al Comune di Pineto. Richiamato alle armi nel Maggio del 1940 con il grado di capitano di Artiglieria, il suo incarico di Podestà fu espletato dal vice podestà Palmantonio Di Febo. Mandato in un primo momento sul fronte francese e successivamente in Albania, venne posto in congedo nel 1943, in quanto padre di quattro figli. Tornato a Pineto ricoprì nuovamente l’incarico di podestà, carica che mantenne anche senza prestare giuramento alla R.S.I., dal momento che il territorio comunale era praticamente occupato dall’esercito tedesco. Incarico che svolse con grande abilità e diplomazia riuscendo sempre a mediare la difficile situazione con le forze germaniche e assicurando alla popolazione civile, nel frattempo ingrossata da un gran numero di “sfollati “ che avevano trovato rifugio a Pineto e Mutignano, il necessario per vivere. Grazie proprio alle sue notevoli doti diplomatiche evitò che la guerra avesse conseguenze disastrose sulla pineta litoranea della cittadina ottenendo che la stessa non subisse un indiscriminato disboscamento. Dopo la liberazione si adoperò affinchè la pretesa di Atri di riappropriarsi dei territori annessi al Comune di Pineto fosse scongiurata. Nella sua qualità di appassionato educatore si adoperò, tralaltro, per la costruzione di nuove scuole nella vicina Giulianova, paese in cui svolse la professione di insegnante e preside per oltre un trentennio,quali l’Istituto Professionale ed il più pregiato Istituto Tecnico Industriale con le sue specializzazioni portandolo, per importanza, ai vertici regionali. Fu proprietario della Torre di Cerrano salvandola dalla distruzione e curandone la buona conservazione. Nato ad Atri il 4 Aprile 1898 è deceduto a Pineto il 15 Marzo 1976.

Nicola Patelli, medico, ma questo sembrava essere solo un dettaglio della sua lunghissima vita, perché il suo nome è stato sempre legato alla sua passione politica.
Sindaco di Pineto dal 1951 al 1956. Durante il suo mandato, da persona di grande cultura e soprattutto lungimirante nella visione dello sviluppo urbanistico del proprio Paese, ebbe la felice intuizione di salvaguardare il centro abitato di Pineto con la costruzione della cosiddetta “VARIANTE “, cioè la deviazione veicolare dal centro del paese all’esterno decongestionando il traffico cittadino , limitando se non eliminando i tanti incidenti che si verificavano in prossimità della curva a ridosso del ponte Calvano tanto da essere definitoa“la curva della morte“.
Nato a Penne l’11 Novembre 1904 è deceduto a Pineto il 29 Maggio 2000.

Mario Torrieri

Mario Torrieri, ragioniere, stimato funzionario della Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo filiale di Pineto. Grazie alle sue capacità professionali e profonde doti umane per molto tempo ne è stato anche Vice Direttore.
Eletto Sindaco nel 1987 il suo mandato si concluse nel 1990. Tra le altre cose contribuì con determinazione all’acquisizione dei necessari fondi per la costruzione del bocciodromo nonché la progettazione e finanziamento del sottovia carrabile, nel quartiere dei Poeti, che collega la popolosa zona direttamente al prospiciente mare. Opera di cui non vide la realizzazione per la conclusione del suo mandato.
Nato a Pineto il 24 Aprile 1947 è deceduto ad Atri il 7 Settembre 2001.

 

Considerazioni

Il senso di appartenenza ad un territorio, al suo paesaggio ed alla comunità che si modella con le proprie tradizioni ed interazioni, viene solitamente definito come “amore verso la propria terra”, un legame dettato anche dai natali e dai ricordi. Se si vuole rendere ancor più pregnante questo sentimento lo si deve ancorare al seme embrionale della comunità, al timbro primordiale che diventa elemento di distinzione da altre cittadine.
Parlando di pinetesità, ad esempio, viene spontaneo pensare ad un modello urbanistico ed ambientale generato dal suo fondatore , Luigi Corrado Filiani, il quale ha fissato le coordinate geografiche della nostra cittadina con un sistema di parchi e pinete, diventato nel tempo anche il perimetro estetico alla quale ha dato il nome Pineto. Ma un’idea iniziale si trasforma in un pensiero costante, un modo coerente di concepire il territorio e l’ambiente, se viene alimentato dai successori con azioni susseguenti che andranno , negli anni, a cementare quel senso di appartenenza che possiamo tradurre in pinetesità.
A Pineto, infatti, tanti altri personaggi hanno seguito il fondatore nella sua visione ambientalista e lungimirante con la realizzazione di altre pinete, alcune delle quali recano il nome dei promotori quali la Pineta Catucci e la Pineta Di Crescenzo; con scelte importanti sul territorio , con intuizioni e caratterizzazioni , anche con una gestione amministrativa sobria ed equilibrata richiesta da alcuni periodi storici e contesti economici particolari.
Ricordando sempre e soltanto il pioniere di uno sviluppo urbano o di un modello urbanistico si rischia di dimenticare tutti gli altri successori, le opere altrettanto importanti e funzionali; bisognerebbe invece tenere vivo il ricordo dell’operato di tutti i personaggi alimentando quel senso di appartenenza che andrebbe trasferito da generazione in generazione. Con la stessa delibera la Giunta Comunale “ ha dato mandato agli uffici competenti di predisporre gli atti per l’intitolazione di aree di circolazione anche agli altri ex Sindaci del Comune di Pineto che abbiano i requisiti previsti dalla normativa vigente “.
In attesa della cerimonia di inaugurazione ci auguriamo che altri cittadini illustri, appartenenti non soltanto al mondo politico ed amministrativo, vengano ricordati promuovendo sempre di più quel sentimento ,di matrice proustiana,“ …. della ricerca della pinetesità perduta “ .

La Torre del Vomano: perchè ricostruirla?

PERCHE’ RICOSTRUIRLA ? Nelle considerazioni finali del libro “Pineto, percorso storico e naturalistico “ vengono individuati sei siti da recuperare e da valorizzare per rendere ancora più definito ed intrigante il perimetro estetico del nostro territorio. Tra questi “ l’idea più suggestiva è quella di ricostruire la Torre Vecchia del Vomano, a Scerne di Pineto, destinandola a punto di informazione turistica nel periodo estivo e ad osservatorio della foce del fiume durane l’intero periodo dell’anno . Avremmo due torri sul litorale pinetese, una a sud, a Cerrano, l’altra a Nord sul Vomano , ricostituendo la linea storica di controllo del litorale del periodo medioevale, combattendo non più i pirati o Saraceni ma l’azione indiscriminata dell’uomo, quella deviata e irrispettosa della natura. “ .

Lungomare di Scerne ( foto di Mauro Cantoro )

Torre del Vomano. La storia della Torre del Vomano è quella di una torre che non c’è più, come quella del Tordino e di Salina Maggiore per restare nel vicinato; ma è quella che nasconde una doppia vita, in quanto il tratto di costa adiacente la foce del fiume Vomano fu interessata, nel XVI secolo , dal processo di fortificazione e di difesa di tutto il litorale messo in atto dagli Aragonesi con la costruzione di due torri , Torre Vecchia e Torre Nuova.

Tali strutture venivano solitamente costruite a presidio dei fiumi o degli insediamenti portuali. Nel censimento realizzato dal Governatore Carlo Gambacorta nel 1598, su indicazioni del Vicerè, si riportano le visioni prospettiche dei luoghi ove sorgevano le torri censite. La Torre de Umano viene riportata sulla sinistra del fiume ed appare circondata da alberi sparsi con colline circostanti; dietro la Torre un edificio fortificato riconducibile a Villa Patrizi ( ?!) . Il Cartaro riporta una Torre Vecchia sulla riva destra del fiume , in località dove ancora oggi esiste Case Vecchioni e la località Vomano Vecchio ; ed una Torre Nuova sulla sinistra, come il Gambacorta che la indica in Torre de Umano . Il manoscritto di Carlo Gambacorta riproduce il censimento delle torri effettuato nel 1598 ed è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.

E’ composto da 48 fogli numerati ed i primi tre fogli compongono le lettere indirizzate al conte di Olivares ed al reggente Ferrante Fornaro ed alcune note metodologiche per il censimento ed osservazioni sui problemi connessi all’avvistamento. Le torri d’ Abruzzo sono descritte dal foglio 30 al foglio 45 mentre al foglio 38 sono aggiunti due fogli non numerati e tutti e tre sono dedicati alla fortezza di Pescara ed agli ammodernamenti proposti. Ogni foglio scheda contiene alla sinistra in alto una prospettiva dei luoghi ; sempre alla sinistra ma in basso una sezione parallela al mare e la relativa pianta . Sulla destra sono indicati il posizionamento, il contatto visivo con le torri finitime, lo stato di consistenza e gli eventuali inconvenienti e suggerimenti . Seguono, infine, la nota degli accomodi urgenti ed il costo presunto degli stessi.

Schizzo del 1578 ( censimento di Gambacorta )

Dalla schede relative al censimento di Carlo Gambacorta , Governatore del’ Abruzzo e della Capitanata alla fine del Cinquecento e Marchese di Celenza Valfortore , si desume che la Torre del Vomano sia stata costruita nel 1568 con i lavori eseguiti da Salazar e che fosse di notevoli dimensioni considerata l’altezza di canne 7 , come risulta dall’aggiudicazione d’asta ( Vasto ).

Così come risulterebbe distrutta dalle acque nel 1578 a seguito di inondazione con successiva denunzia a carico dei costruttori Tavoldino . La cartografia riporta, pertanto, sia la Torre Vecchia, andata distrutta dopo soli dieci anni dalla costruzione sulla riva destra del Vomano, che la Torre Nuova ricostruita sulla riva sinistra del fiume indicata dal Gambacorta di canne 6 . La Torre del Vomano è indicata, in definitiva, dal censimento del 1598 e dalla cartografia come Torre Nuova se si accetta la prospettiva di Carlo Gambacorta che la colloca sulla riva sinistra del fiume. Nonostante sia stata in buone condizioni fino al 1842, utilizzata dalla Amministrazione Generale , non ha lasciato traccia né ruderi . La prospettiva di Carlo Gambacorta indica dietro la Torre, parallela al fiume , una casa fortificata da individuare. Non si esclude, dunque, che fortunati ricercatori riescano ad individuare il posizionamento della torre che si presume sia stata ricostruita su questa riva, sul lato di Roseto per intenderci, dopo la distruzione del 1578.

area dove insisteva  la Torre Vecchia del Vomano

Descrizione 1598 : Questa undicesima Torre detta di Humano in territorio di Montepagano quadrata sta distante dalla retta Torre di Cerrano verso Puglia miglia cinque e verso Abruzzo dalla Torre di Tordino miglia cinque . E’ ben collocata di buona fabrica che guarda il fiume Humano benissimo et una fontana. Ha corrispondenza con la retta Torre di Cerrano Puglia , e verso Abruzzo con la Torre di Tordino e vede la Torre di Salinello e di Librata. V’è uno smeriglio di bronzo, un pezzone di ferro e quattro arcabuggi del Caporale e v’è necessario un masco per dar segno. E’ necessario accomodare il cavalletto al pezzo di bronzo, acconciare lastraco e la garitta che ci vorrà la spesa di ducati otto circa .

La Torre Vecchia era posizionata a Scerne di Pineto , sul lato destro della  foce del Vomano

Epoca :

1568 : aggiudicata la costruzione da Salazar a Vasto ( dimensioni notevoli di canne 7 )

1578 : distrutta dalle acque. Incriminati i costruttori Tavoldino . Relazione critica dei Tortelli.

1585 : Torriero caporale de Nogueras Michele e Gio de Angatiglia di Monte Pagano.

1598 : Torriero caporale Pietri di Castro

1601 : Torriero caporale Melendes Giovanni

1761 : Torriero caporale di Domenicantonio Ambrogio

1777: custodita dagli invalidi

1842: per uso Amministrazione Generale

1955: nessuna traccia

1976: traccia storica ( Vittorio Faglia )

Presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, nella sezione manoscritti, sono conservate buste numerate contenenti una serie di disegni senza autore né data, verosimilmente della prima metà dell’ Ottocento quando furono realizzati censimenti parziali del patrimonio di difesa costiera. Per la Torre di Umano si ha una pianta del primo piano e del terrazzo, un prospetto della Torre alla destra della Torre di Cerrano e di un terreno di pertinenza della Torre. Il disegno del terrazzo sembrerebbe inesatto : la piazza dovrebbe avere superficie maggiore di quella del primo piano, a causa della controscarpa delle caditoie. Della Torre Vecchia si ha, invece, soltanto, una traccia sulla cartografia del Cartaro e del Magini, chiaramente distinta dalla vicina torre sud di Cerrano, se si assimila la segnalata Torre Nuova con la Torre Vomano

Il porto antico di Hatria alla foce del Vomano

L’area che si estende alla foce del Vomano,   sul lato  di Scerne di Pineto,  conserva probabilmente  nel suo sottosuolo  una delle testimonianze archeologiche più importanti della antica città di Hatria, le vestigia dell’antico porto   .  L’esatta  individuazione del porto romano  ha affascinato storici antichi e moderni ,  alcuni di essi  orientati a collocarlo    alla foce del torrente  Cerrano,  sulla base di alcune considerazioni filologiche ed etimologiche sul toponimo Cerrano  nonchè sulla base dei ritrovamenti  di reperti  nella zona  antistante la Torre di Cerrano nel 1982 ;  altri invece propensi a  collocarlo alla foce del fiume Vomano .  Strabone d’Amasea, geografo di età augustea ,  nella sezione dell’opera Geografia  dedicata al ” Piceno e la parte interna della penisola  ”  parla del “torrente Matrino che scorre dalla città degli Atriani , con un imbarcadero ( porto ) sull’Adriatico che ha preso il nome ( eponimo ) proprio da esso ( Matrino )  “. Strabone ci parla quindi  di un porto alle foci di un fiume chiamato Matrinus, che scorreva direttamente da Hatria .  Il Sorricchio, con una diversa traduzione letterale del testo , identifica il Matrinus o con il fiume Vomano o addirittura con il Piomba, mentre il Prof. Zanni Ulisse  lo   individua nel  torrente Cerrano elaborando una  tesi suggestiva e pretenziosa  .  Sosteneva  l’ipotesi etimologica di Ceres come teonimo del Cerrano , i due nomi Cerrano e Matrino in fondo  non sono lontani, poichè Ceres era la  Grande Madre, Demeter, Dea Mater, perciò  Matrinus . Una dea titolare di cereali , grano , frumento , vasi , porti , fiumi  adibiti al trasporto di ogni tipo di raccolto e di produzione della terra. Il Brizio parla addirittura  della scoperta di un tempio romano , il tempio della Dea Ceres eretto alla sorgente del torrente presso  le fonti  antiche atriane : Cereris Fanum ( tempio ) .  Trattasi di ipotesi suggestiva ma forzata secondo la maggior parte degli storici moderni . La tesi del Sorricchio,invece, che vuole a tutti i costi il porto di Hatria nel castellum ( Torrione ) di Scerne, si fonderebbe solo su resti  di “anfore  ” di  figulina  coll’impressione nei manici della grezza parola ANTAYIOK e  di alcuni mattoni recanti la legenda HAT in bollo rettangolare.

 

Spiegata l’origine del toponimo Cerrano , adottato il geografo augusteo Strabone,  accantonata l’ipotesi della presenza di più porti  per una città di dimensioni contenute, resta quindi da chiarire  l’origine della vexata quaestio  tra gli storici  sulla ubicazione del porto di Atri. Il rebus comincia   quando venne pubblicato l’undicesimo foglio , ora conservato  nella Biblioteca di Vienna, della  Tabula Peutingeriana , carta geografica del  III   secolo . La Tabula colloca il Macrinus sul mare di Atri, riportata erronemanete come Macrinus forse per un refuso del copista o per giustificare i periodi di magra del torrente. Alcuni lo identificano con il Vomano ( Silio  Italico, Delfico, Palma, Sorricchio, Barberini ); altri con il Piomba (  Romanelli , Speranza, Weiss, Nissen ) ; altri infine con il Saline ( Mammsen , De Ruggiero, Barnabei , Alfieri ) .  La diversa entità dei  reperti ritrovati nei due diversi siti , alla foce del Vomano e davanti la Torre di Cerrano, potrebbe far propendere per la definitiva accettazione della testimonianza storica delle fonti letterarie  dello  Strabone, ad oggi avvalorate dai rinvenimenti archeologici  realizzati a Cerrano .  Qualcuno,però,  ha continuato ad esternare scettiscismo circa la datazione di tali ritrovamenti all’epoca romana, ricollocandoli semplicemente al XIV secolo , quando appaiono i primi documenti  ed  esplicite menzioni sulla presenza di un porto ubicato in Penna Cerrani . Le fonti medioevali e le menzioni del Chronicon Farfense  parlano di un antico approdo  alla foce del   Vomano che il Palma identifica con quello di Hatria, sito sulla sponda destra “in Vomano Vecchio in contrada delle Scerne “, cioè di  suolo oggi  rincalzato  da alluvioni .  Il toponimo Vomano Vecchio compare in una carta geografica del 1858, nella pianura adiacente verso sud si legge “Le antiche scerne ” .

 

A prescindere dall’ubicazione il porto Matrinus  era il polo marittimo delle due strade romane Salaria Cecilia e Valeria Claudia  per l’Adriatico .  L’attività marinara della città è ampiamente documentata  anche da fonti indirette, quale l’esportazione di  prodotti locali ed i simboli marini presenti nella monetazione della zecca locale, come la conchiglia, l’ancora , la raggia, il delfino . Il porto ebbe in età romana grande importanza per l’economia locale, ma decadde alla fine dell’impero e solo nel Medio Evo i Papi Innocenzo IV e Alessandro IV fecero ricostruire  un porto per Hatria divenuta sede vescovile nel 1251.  Lo studio della viablità antica riproduce,tralaltro ,   un diverticolo antico   per Atri  segnalato nella Tabula Peutingeriana, con una deviazione del tracciato litoraneso subito a sud del Vomano in corrispondenza del porto antico esistente  alla foce del fiume , riferibile alla città di Hatria come sembrerebe desumersi dalla sua persistenza di  uso sino all’alto medioevo  sotto dominio cassinese ( cella S.Mariae ad Maurinum cum portu ed foce de Gomano )  .

 

L’esatto  riconoscimento del sito dell’antico approdo   appare anzitutto ubicabile  non in corrispondenza della riva meridionale dell’attuale alveo ma di quella  di un ramo  antico del corso d’acqua ubicato circa 600 metri a sud della foce attuale ed 800 circa da quella antica .

Proprio in corrispondenza del versante  meridionale di questo ramo oggi sepolto del fiume  avveniva  nel 1753-1754 , a  seguito di scavi condotti da Nicola Sorricchio, un importante rinvenimento che appare oggi difficile non attribuire a qualche struttura connessa all’antico approdo : si trattava di un ” quadrilatero di doppie mura ad opera signina, che si  internava in un montante di terreno compatto malagevole a rimuoversi per cui lo scavo fu arrestato  ” . Le dimensioni  riportate dal Sorricchio sono puntuali e circostanziate   e nel confronto  tra l’indicazione  che in quel punto     intorno al rudere cominciava a salire verso Atri >>  e  l’ubicazione di tale tracciato proprio in località Le Scerne  nell’ Atlante del Ricci-Zannoni del 1808 , appare evidente che i resti d’età imperiale   sono con ogni evidenza collocati proprio nell’area in cui appare ubicabile il porto romano ed altomedioevale della città . Il monastero di S.Maria ad Maurinum  era ubicato a poca distanza nella località  Colle Morino  di Pineto su una collina a monte dell’approdo , ove sono stati rinvenuti in passato resti archeologici riferibili ad un abitato romano  con fasi di occupazione sino all’altomedioevo, in posizione strategica a controllo della sottostante foce del fiume Vomano, del porto e della via antica litoranea.

 

L’ultimo resto dell’approdo  antico di Hatria, controllato a partire dal IX secolo da parte dei monaci cassinesi, dovette andare in progressivo abbandono fra XI e XII secolo con l’ormai inarrestabile insabbiamento di parte della foce del fiume Vomano , tanto che non  appare più menzionato accanto al monastero nel 1252 al momento della nascita della diocesi di Atri .  Di li  a poco il porto  venne ricostruito  nell’area antistante la Torre di Cerrano dove tuttora sono conservate le vecchie mura.  La foce del fiume Vomano si conferma , pertanto, sempre più ricca di sedimentazione storica  e l”ipotesi che vi possano essere custodite  le vestigia dell’antico approdo atriano la rende ancor più  interessante  confermandoci   come ,allora come oggi,  la migliore dislocazione delle infrastrutture ( porti, viabilità , ospedali )   fosse  altamente funzionale per la migliore vivibilità  di tutta la zona.